Damascelli: “Juventus: il tempo delle mele è finito”

C’era una volta Juventus-Milan. Roba grossa, di potere si potrebbe anzi si deve scrivere. Fascino antico di due club che hanno scritto una fetta illustre della storia pallonara d’Italia e non solo ma anche cronaca di squadre aziende che a un certo punto si sono divise, allontanate. Venticinque anni fa Silvio Berlusconi prese in mano il Milan destinato al peggio, al fallimento, alla scomparsa. Lo costruì immediatamente per renderlo di nuovo glorioso, non soltanto per la tradizione ma per i risultati sul campo: uomini, dirigenti, organizzazione, una specie di unicum nel panorama mondiale visto che resiste da quel tempo, senza cambi in corsa e rivoluzioni, a parte gli allenatori destinati al turn over secondo repertorio. Il Milan è, dunque, ancora quello, rivisto e corretto ma con uguali punti di riferimento societari divenuti “storici”. La Juventus, di contro, dopo il crollo del duemila e sei, pilotato, accompagnato, indifeso dalle figure che ancora oggi sono attori del gruppo, ha smarrito la propria identità, la famiglia Agnelli ha perduto due generazioni, Gianni, Umberto, Edoardo, Giovanni Alberto e chi ne ha ricevuto l’eredità, non soltanto testamentaria, ha priorità, interessi e passioni ben lontane, comunque diverse. La stessa città di Torino ha visto lentamente e inesorabilmente trasformare, e scivolare via, quelli che erano i suoi distintivi socioeconomici e, dunque, il suo potere politico, dal San Paolo alla Fiat, dalla Toro assicurazioni alla Sai, senza trascurare il territorio piemontese con il trasloco di De Benedetti dopo lo spegnimento dell’ Olivetti, aggiungendo Ipi e Gft. Va da sé che Juventus è uscita dal tritacarne senza che nessuno ne raccogliesse i resti, anzi con il ghigno malefico degli attori già detti. Secondo i dati forniti dalla Deloitte Football Money League, che studia i movimenti finanziari dei club calcistici europei, la Juventus che, con riferimento alla stagione 2005-2006, era collocata al terzo posto, con 251 milioni e duecentomila euro di ricavi, alle spalle del Real Madrid, primo con 292, 2 milioni di euro, e del Barcellona con 259,1 milioni. A partire da quella data la Juventus ha dovuto fare i conti, in tutti i sensi, con una realtà tecnica e societaria, oltre che “ambientale” differente, se non opposta. Oggi, la società torinese è al decimo posto, con 205 milioni di ricavi, preceduta da Milan (235,8) e Inter (224,8) mentre le due grandi si Spagna viaggiano a una velocità doppia con 438,6 milioni il Real Madrid e 358 il Barcellona, con Manchester United e Bayern in risalita. Una fotografia preoccupante, dunque, direi drammatica visto lo staff sanitario che dovrebbe prendere in cura l’ammalata. L’attuale proprietà juventina, e del gruppo imprenditoriale di riferimento, ha una perizia, di conseguenza una prospettiva di pura natura finanziaria, non ha alcun rapporto personale, di campo, con la fabbrica di automobili e con la squadra di football, potrebbero essere trasferite a Detroit come a Tallin, a Bengasi o a Caracas, il prestigio non fa business, dicevano alcuni ragionat piemontesi che sembrano essere i parenti stretti degli attuali padroni del vapore. In questo panorama grigio Andrea Agnelli ha messo a disposizione il cognome del casato senza tuttavia, ahilui, avere il potere che fu di suo padre e di suo zio, ritrovandosi, purtroppo, un uomo solo al comando ma non per scelta sua. È un peccato e, insieme, una perfida strategia, quello di avere offerto il giovane erede di Umberto alla piazza, così come l’assunzione onorifica di Nedved che era stato liquidato due anni prima. La crisi tecnica della Juventus è figlia di questa situazione ibrida, demagogica e può avere un solo sbocco: la cessione del club, come avvenne con il Milan, come è avvenuto con altre società calcistiche sull’orlo della crisi o senza un futuro all’altezza della propria tradizione. A meno che non si decida di rassegnarsi a una nuova dimensione dello Juventus football club, simile a quello di altre squadre nostrane, intendo un posto di seconda o terza fila, una stagione ordinaria con alcuni spunti. La storia della Juventus, dunque, della grande Juventus, è finita; resta la cronaca, quella che domani sera la porta in campo contro il Milan, magari con un successo, come è accaduto nella partita di andata al Meazza o, di recente, contro i campioni del mondo, d’europa e d’Italia, l’Inter. Ma trattasi di episodi, di mezze luci spacciate per abbaglianti. Lo sanno bene John Elkann e Marchionne che mai hanno fiatato sul processo di calciopoli e pensano di lavarsi la coscienza con qualche apparizione allo stadio, lo sanno bene quelli che conoscono il football, i conti finanziari sono sempre più pesanti, il tempo delle mele è finito.\r\n\r\n(Di Tony Damscelli per ‘Il Giornale’)