(Di Giacomo Scutiero) Si fa presto a dire Juve contro Inter, si fa notte a ricordare. Il peccato originale di Erminia, telefonista della Stipel torinese: fa innamorare Angelo di lei e dell’Inter. Angelo è Moratti.\r\nUna coincidenza, l’esordio dell’incontro-scontro lungo mezzo secolo. Continua.\r\nLa sportività non faceva parte solo del dizionario. Umberto Agnelli presidente Juventus e Federcalcio imbarazza Helenio Herrera; il Mago spedisce la primavera a Torino, Sivori non conosce pietà. Nove a uno, ma la differenza è il gesto del Dottore: il portachiavi-regalo consola i piccoli sconfitti.\r\nLa Grande Inter. Moratti forse si accontenta troppo presto, gode, lascia. Resta il rapporto con Gianni Agnelli, comproprietari del Corsera. Vice di Angelo era e resta Peppino Prisco.\r\nUn avvocato a Milano, l’Avvocato a Torino. Retorica assente, l’antonomasia come innesco della ruggine. Peppino contempla due squadre, l’Inter e la primavera dell’Inter. Firma la tavola della legge, comanda di contarsi le dita della mano stretta dallo juventino.\r\nAbitué di San Siro, spalla a spalla con Agnelli nel derby d’Italia. Toni bassi, è sufficiente l’ironia fendente.\r\nMassimo restituisce il cognome Moratti alla città. Galateo alla lettera tra Milano e Torino, il presidente Inter è un gentiluomo per l’Avvocato.\r\nNel periodo lungo una stagione, il caffè schizza ma non fuoriesce. Fino all’ostruzione di Ronaldo su Iuliano: così in diretta Ceccarini, così a freddo.  Lo scudetto prende la strada che conosce meglio. Moratti si placa con l’Uefa, i complimenti del Dottore recuperano poco.\r\nIl 5 maggio è storia. La conversione cristiana di Napoleone prima di morire, la morte dei guerrieri di Cuper. Senza avversario di fronte.\r\nBeati i terzi perché saranno i primi. Dio si volta mai, dice il Papa: una distrazione capita, il secondo anno zero. Il separazione di a.C. e d.C., avanti e dopo Calciopoli. Un racconto senza finale perché inventato.\r\nLe scarpe di Moggi hanno più sassi che impronte: se Cannavaro vince il pallone d’oro qualcuno merita il mongolino d’argento. Il destinatario è chi gli preferisce Carini.\r\nSulla destrezza non c’è competizione col direttore. Parlava senza l’anima, uccisa da chi radia i congiurati e grazia i corruttori.\r\nIl boss dei farabutti di Moratti, l’appestato dei barboni di Facchetti jr. Ci vorrebbe il figlio di Umberto, eccolo. Il cugino interrompe il conveniente letargo: chi non sapeva perdere non impara a vincere. Mio Dio! Pare di udire l’Avvocato.\r\nAcerrima quanto futile, la disquisizione di scudetti e cartoni. Moratti è una noia per Andrea Agnelli; Massimo se ne dispiace, e suggerisce di staccare la spina all’ossessionato della Famiglia. La vacanze prescritte di Elkann valgono la seconda proiezione spiritica del nonno; Andrea tiene le parole e agisce in sedi opportune.\r\nCi voleva il figlio di Umberto per “agnellizzare” il cugino; lo stile Juve è rigore, dolce arroganza, rispetto per il rispetto. Moratti non ha più l’avvocato, oggi sarebbe necessario più che vice. Lo stile? Papà Angelo si è accontentato troppo presto, Umberto ce l’ha messa tutta.