Mughini: “Se un disonesto ci fu, è chi distrusse la Juve”

Settantacinque telefonate tra i designatori arbitrali e i dirigenti di Inter e Milan di cui il tribunale valuterà se contengono elementi di fatto comunque intriganti. È come se fosse ricominciato daccapo il processo napoletano che doveva dare il colpo mortale a Luciano Moggi e all’ “associazione a delinquere” da lui  capitanata, o altrimenti riconoscere che le sentenze comminate dalla giustizia sportiva nell’estate del 2006 erano basate sui “pensieri” anti-Juve e non sui fatti. Nell’udienza di ieri erano 40 le televisioni accreditate e laddove alla prima udienza del processo, un anno e mezzo fa, in tutto e per tutto c’erano tre giornalisti, ivi compreso l’inviato di ju29ro.com, il sito filojuventino che di quel processo ha finora documentato ogni parola. E del resto sino a poche settimane fa, a quel processo i grandi giornali dedicavano ogni tanto un colonnino di poche righe. Più ancora, l’intera Calciopoli era una materia che non suscitava alcun dubbio. Non il benché minimo dubbio che il nome di Moggi fosse maledetto da pronunciare, che fosse stata sacrosanta la distruzione della storia di una squadra leggendaria, che ci stesse a pennello la ciliegina sulla torta costituita dal cucire uno scudetto di merda e di cartone sulle maglie nerazzurre, loro sì che erano “onesti”. Un aspetto, quest’ultimo, che se non fosse esilarante sarebbe grottesco. Da quando sono note le telefonate in cui Giacinto Facchetti fa nient’altro che il suo lavoro in un mondo in cui stinchi di santi non ce n’era nemmeno mezzo, e dunque battersi come un leone a favore della sua squadra, e dunque chiedere ora questo ora quello al designatore (ovvio che noi non reputiamo nulla di illegale in queste conversazioni), è come se fossero spariti dal mondo quelli che presero questa decisione e quelli che la accettarono come se fosse un dono venuto dal cielo. Non c’è più un tifoso interista che dica ad alta voce di sentire suo il quattordicesimo scudetto, non c’è più un giudice che dica che quella decisione l’ha presa lui e se ne vanta ed è stato un bene per la storia del\r\ncalcio italiano. Eppure per quattro lunghi anni non c’era stato un solo tifoso interista – uno solo – che avesse detto che su quello scudetto ci sputava sopra e non lo voleva nemmeno vedere.\r\nDopo vent’anni che si battevano spasmodicamente per un quinto o per un ottavo posto, su quello scudetto gli interisti si erano buttati come dei maniaci sessuali che da due anni non avevano tastato corpo di donna. E dire che stiamo parlando dell’Inter, della squadra di Peppino Meazza, di Luisito Suarez, di Armando Picchi, di una squadra che aveva al suo attivo trofei e vittorie memorabili. Trofei che hanno sconciato apponendogli accanto lo scudetto che ho prima definito come merita. A un certo punto del contro-interrogatorio di ieri, l’avvocato difensore di Moggi ha avuto un moto di ira ed è stata necessaria una pausa di 15 minuti perché si calmasse.\r\nQuello di Napoli non è un processo qualsiasi, ed è tutto fuorché soltanto un processo sportivo alla maniera di quelli che facciamo un po’ per gioco in televisione alla domenica sera. Quello di Napoli è un processo che investe una pagina civile della nostra storia e del nostro costume, se sì o no la Fidanzata d’Italia vinceva quello che vinceva perché stramunita di schede telefoniche svizzere, e da quelle sentenze sono state distrutte vite e destini professionali. Ho avuto di fronte, all’ultima puntata di “Controcampo”, l’arbitro Gianluca Paparesta, quello di cui era divenuto una certezza che Moggi lo avesse chiuso nello sgabuzzino e lui non aveva protestato perché intimorito dallo strapotere della Cupola moggiana. Un episodio che persino un giornalista abitualmente documentato come Marco Travaglio indicava come un episodio decisivo a comprovare le nefandezze moggiane. Un episodio, ha ripetuto domenica sera per la centesima volta Paparesta, mai esistito e che non poteva esistere in alcuno stadio di calcio al mondo. Una bufala colossale. Ebbene Paparesta ha comunque pagato caro il suo essere coinvolto in quell’episodio. Pur assolto in ogni grado di giudizio, non è mai stato più chiamato ad arbitrare una partita di calcio, il mestiere in cui eccelleva (per sei anni era stato “un internazionale”). S’è dunque dimesso dall’associazione arbitri, ha dato addio a una carriera durata 23 anni. Ennesima vittima di Calciopoli/Farsopoli.\r\nStaremo a vedere. Il processo è ricominciato daccapo. Tutto è di nuovo in discussione, e lo diciamo pro veritate: non certo per un miserevole spirito ultra. A Gigi Simoni poi, un mister e una persona che ho sempre stimato, e che ha detto a “Libero” che i due scudetti che le sono stati rapinati la Juve se li era meritati sul\r\ncampo, ma che lui lo sentiva suo lo scudetto dell’anno in cui Ronaldo e Iuliano si scontrarono in area alla maniera di due Tir, un’annata e uno scudetto juventino effettivamente inficiato dai tanti errori arbitrali pro-Juve. Me li ricordo quegli errori, così come mi ricordo la collezione impressionante di errori arbitrali\r\npro-Inter dell’anno scorso. Ebbene, voglio rassicurare Simoni. L’ho scritto in un mio libro di due anni e mezzo fa: che se dipendesse da me ci andrei di persona a cucire sulla maglia del mister quello scudetto per il quale lui e la sua squadra avevano così valorosamente combattuto.\r\n\r\n(Di Giampiero Mughini per Libero)

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Pubblicato da
Alberto Zamboni