Il commento ad Atalanta – Juventus: torna aria nuova

(Di Eldavidinho) Confesso che prima che iniziasse la partita con l’Atalanta, sapendo comunque di dover affrontare una trasferta difficile contro una delle squadre sorpresa del campionato, in una serata gelida, in un “Atleti Azzurri d’Italia” ostico, avevo il timore (non la paura, specifichiamo) che, in caso di nuovo pareggio o prima sconfitta (perché è nell’aria e prima, o poi deve pur arrivare) si potesse cominciare a parlare di squadra in crisi o squadra già arrivata.\r\n\r\nArrivata al traguardo che era quello di tornare a stupire i propri tifosi. Senza alcuna pretesa futura. Che si potesse parlare di squadra che, dopo un girone d’andata superbo e superlativo, oltre ogni più rosea aspettativa sia per Conte che per Agnelli ed i tifosi stessi, si fosse bloccata a livello mentale e fisico; che si fosse fermata ad un gradino insuperabile e dallo sforzo insostenibile qualora si volesse tentare di superarlo. Non facendo seguire ai progressi fatti miglioramenti consequenziali. Che si potesse parlare di una squadra che non si sentisse già forte (e quindi neanche nella facoltà di potersi “regalare a nero” qualche partita di pausa sotto l’aspetto dell’aggressività agonistica), ma incapace di riprendere il percorso serrato dei primi mesi per limiti strutturali sin qui nascosti con intelligenza (ed il merito è di Conte), ma ora emersi inesorabilmente. Perché la Juve ha i suoi difetti che, nonostante siano molto ma molto meno dei pregi, in un ambiente come il nostro s’ingigantiscono sempre sino a diventare un vero e proprio problema. Per fattori caratteriali, mediatici e di spogliatoio. Per ora, mi fermo all’aspetto astratto. Per quello pratico parla sempre il campo ed è giusto che sia così. Ricapitolando: a Lecce si vinse con mezzo tiro in porta, le gambe un po’ pesanti e la testa già distratta. Ma si vinse ed era fondamentale quello dopo la tremenda Befana trascorsa l’anno precedente, in casa. Allo Juventus Stadium, contro il Cagliari, la cose sono andate tutte diversamente tranne che per l’aspetto mentale: testa ancora più distratta che ci è costata la vittoria, nonostante un ottimo inizio(azione di barcelloniana memoria con gol di Vucinic), e gambe molli con tante occasioni sprecate; ergo, poca lucidità sotto porta. Un po’ la musica che spesso si sente allo Stadium, gioco creato non direttamente proporzionale alle occasioni sfruttate. A Bergamo, pareva dovesse andare così sull’onta delle ultime apparizioni, occasioni e gol sprecati. Pronti via e Matri sciupa gol netto da tre punti. Poi Pepe, Barzagli palo, Vucinic, De Ceglie su rovesciata e colpo di testa, Vidal traversa piena e palla che torna in campo. Beffarda, quasi a non voler entrare. Troppe. Non le azioni ma le occasioni sprecate, togliendo quelle del secondo tempo di Matri, ancora Matri su pallonetto, Marrone. Finalizziamo poco. O perché non abbiamo la maturità per farlo o perché ci piaciamo troppo. Poi escono Marchisio per Giaccherini, Marrone per Pepe, Bonucci per Vucinic e la musica cambia, a cominciare dall’ingresso del primo, continuando con quello del secondo. Pirlo, oggi veramente troppo libero di ragionare, dribblare, cambiare gioco e svariare su tutto il fronte, imbecca Lichsteiner avventuratosi nei meandri profondi dell’area di rigore, in solitaria, che insacca di testa. È il gol dell’ 1 a 0, del vantaggio, della liberazione, presumo anche delle urla dei tifosi, della gioia dei calciatori stessi. Del mister. Zero a zero sarebbe stato un altro risultato bugiardo e fasullo. L’ennesimo. Sarebbe stata una punizione troppo severa. Da lì, il due a zero è facile, semplice, d’ ordinaria amministrazione di chi sta raggiungendo, proprio nella partita della verità, una maturità mostrata a sprazzi nel gestire alcuni risultati di partite precedenti. Giaccherini e Marrone sono il duo che non t’aspetti e che confezionano l’azione del secondo gol. Affatto stucchevole nonostante le molte azioni belle che quest’anno ci hanno portato a fare gol, ultima in ordine di tempo l’azione tutta di prima di 7 giorni fa. Come non essere d’accordo col maestro Ricchiuti: “imbattuti, migliore difesa, campioni d’inverno, le nostre ex che parlano male di noi, polemiche sui rigori che non danno ai nostri avversari”. Il nostro girone d’andata lo aprono e lo chiudono Celi e Lichsteiner. Incroci che valgono tutto e non valgono niente ma che aiutano a fare confronti. Mi ha fatto veramente piacere l’ingresso in campo, nel finale, di Bonucci. Fa morale per il giocatore che sino ad oggi le ha giocate quasi tutte da titolare, sa di esser stato escluso inizialmente per l’errore fatto in Juve – Cagliari ma continua a sentirsi, in questo modo, partecipe ed in parte artefice di ciò che realizza la squadra. Attivamente e non passivamente, dalla panchina, aiutando i propri compagni e sentendosi coinvolto nonostante l’esclusione per scelta tecnica iniziale. Conte continua a mostrare diffidenza verso alcuni panchinari ed assoluta fiducia verso coloro che hanno conquistato, con pregi e difetti, il titolo d’inverno. Inserendo, ogni volta, qualcuno che magari ha raggiunto la maturità giusta per aggregarsi al gruppo solido, vedi Estigarribia, Giaccherini, Quaglia, Marrone. Oggi l’uscita pulita del pallone dall’area nostra è stata viziata dalla mancanza di Bonucci in fase d’impostazione. Chiellini non ha mai allontanato con criterio il pallone, ha sempre spazzato. Nonostante tutto, Bonucci serve perchè Conte sa come utilizzarlo. Il match winner è ancora Conte.  Campioni d’inverno con riserva, o senza patemi? È più importante sottolineare le cose che non vanno e che andrebbero migliorate per il proseguo del cammino o l’ottimo lavoro sin qui svolto, veramente oltre ogni più fiduciosa prospettiva futura? Vi provoco. Attenti, il campionato non è finito. Sarebbe riduttivo dire che comincia ora, poiché continua. Sotto con la Roma, c’è anche la Coppa. Italia però, ancora per quest’anno. Poi di nuovo i friuliani a distanza di poco.

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Pubblicato da
Alberto Zamboni