Diego: “Sono ancora al 60-70%”

Che s’aggiri sul prato, tra finte, intuizioni, tiri e robusti contrasti, o vada a passeggio per negozi, Diego Ribas da Cunha è già un ciclone: frulla tutto quello che gli sta intorno. Ribalta partite e nemici, come domenica a Roma, e da vera star movimenta lo shopping. L’altra settimana, prima delle magie dell’Olimpico romano, s’era infilato nel “Decathlon” di Moncalieri, alle porte di Torino, dove ha preso casa: berretto calato sulla fronte e occhiali scuri non l’hanno salvato dall’assalto della gente. Autografi, abbracci, baci, foto, che per un quarto d’ora abbondante hanno intasato il grande magazzino. Stessa scena ogni volta che il muso della sua Aston Martin nera sbuca dai cancelli del centro tecnico di Vinovo: sosta e galleria di firme e scatti di telefonino. Tranne il primo giorno, quando si limitò ad alzare il pollice dietro i finestrini, non si sottrae, con quel sorriso ha quasi di serie.\r\nGli sono bastate due partite di campionato per scomodare impegnativi paragoni, e scombussolare la Juve, l’Italia, il Brasile, dove i giornali ne hanno paragonato l’impatto sulla serie A a quello di Kakà. Oltre che sul prato, potrebbe occuparne il posto negli spot di un campionato ai tempi della crisi: «Qui in Italia c’erano i miei amici di Canal plus – sorrideva dopo la vittoria sulla Roma l’ad bianconero Jean-Claude Blanc – e penso che giocatori come Diego e partite come queste facciano bene alla serie A. I campioni ci sono ancora». Oltre che vincente, Blanc aveva trovato la Juve «divertente», il che non guasta, dovendo (in teoria) offrire uno show. S’è divertito molto anche John Elkann, che l’ha guardata in tv, e va da sè che Diego gli è piaciuto parecchio.\r\nIl brasiliano ringrazia tutti, ma confida agli amici che «è ancora al 60, 70 per cento, e che piano piano arriverà al massimo». Ci sarà da lucidarsi gli occhi, nel caso. Intanto Diego si gode due giorni e mezzo di riposo e l’accoglienza del suo nuovo domicilio bianconero: «L’ambiente della Juve – ricordava domenica – Ciro Ferrara e i miei compagni hanno aiutato il mio inserimento.\r\nPensavo che fosse un campionato difficile, e lo sarà, ma so anche che giocando come sappiamo possiamo vincere. E vinceremo». La sua ossessione, ripetuta da quando è atterrato in Italia. Oltre a divertire, cosa che fa da quando aveva 11 anni: «Perché io il mio modo di giocare non lo cambio». L’ha messo a punto da solo, guardando i campioni, ma senza mai copiarli, magari l’idea per un gesto, una finta, un movimento. Ha lavorato molto anche sul fisico, «perché gioco in questo ruolo da quando sono piccolo, e da sempre tentano di rubarmi la palla. E difenderla dagli avversari fa parte del mio mestiere».\r\nChe è un fenomeno si capisce dalle parole dei compagni («Reti così ne ho viste fare a pochi», aveva detto Buffon), ma soprattutto da come lo cercano in allenamento e in partita. Appena due amichevoli estive gli sono state sufficienti per diventare il capomastro del gioco: passare la palla a chi ne sa fare buon uso, è una regola che vale fin dalle partitelle ai giardini. Lui non tradisce e la fiducia dei commilitoni ti dà i gradi anche se non ce li hai, ti mette sulle spalle il numero dieci anche se porti il 28. L’aiuta il non essere il classico trequartista in smoking, che non si degna di mischiarsi ai comuni mediani della terra di mezzo: al contrario Diego non scappa dai contrasti, insegue l’avversario e se necessario piazza pure qualche calcio. In Bundesliga, infatti, qualche ammonizione arrivò, ma sono scalpi preziosi per il rispetto dei compagni. In più ci mette quel sorriso da bambino, «uno che sembra divertirsi davvero quando gioca», racconta un collega bianconero. Dev’essere anche per questo che il gruppo l’ha adottato da subito, al di là dell’abilità tecnica, quasi come fosse una mascotte, per anagrafe (24 anni) e propensione al buon umore. Se poi impacchetti due gol come l’altra sera all’Olimpico, ti accettano più volentieri: che tu corra sul prato o cammini tra negozi.\r\n(Juvenews.net)

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Pubblicato da
Alberto Zamboni